Qualche tempo fa ho guardato con occhi sgranati diversi video sui Google Glass: le prospettive future di un loro utilizzo di massa sono sconvolgenti per la varietà degli scenari che si aprono. Già dall’anno prossimo pare diverranno un prodotto commercializzato negli USA; presto i prezzi si abbasseranno e diverranno un bene a disposizione di chiunque com’è precisa intenzione del management Google; in breve si arricchiranno di migliaia di apps appositamente ideate. C’è chi parla di un’ennesima rivoluzione, addirittura qualcuno sostiene che si tratti della singola invenzione più rivoluzionaria dopo l’automobile.

Anche le reazioni dei miei studenti di seconda media quando ho condiviso con loro i video e qualche informazione sono state significative: erano assolutamente affascinati ma allo stesso tempo spaventati loro stessi. Tutti però senza eccezione erano emozionatissimi, quasi come gli attoniti spettatori di fronte alle riprese del primo passo dell’uomo sulla luna. E sappiamo che non è facile emozionare e stupire un dodicenne di oggi: mi pare già un piccolo assaggio dell’impatto di questa tecnologia.

Cosa cambierà per la scuola?

Istituto Comprensivo S. G. Bosco di Campogalliano (MO) - Foto di Fabio Cannillo

Istituto Comprensivo S. G. Bosco di Campogalliano (MO) – Foto di Fabio Cannillo

Il primo aspetto che mi viene in mente è l’ancor più immediata, praticamente istantanea disponibilità di qualsiasi informazione e contenuto. Immaginiamo una conversazione fra due persone, un professore universitario coltissimo ma poco tecnologico (a questo proposito mi ritorna l’immagine del mio professore di Storia Medievale mentre si ostinava a voler inserire una videocassetta nel lettore cd del PC) e un suo studente. Il professore cita Hobbes e pone un quesito al suo allievo che non ne ha mai sentito parlare: istantaneamente il ragazzo che indossa i glass riesce a colmare le sue lacune e riferisce in maniera appropriata un passo del “Leviatano”. L’emerito neanche si accorge che il tutto è stato prelevato istantaneamente dalla rete. Dopo due secondi la conversazione appare in video su Facebook con il commento del ragazzo: “Grazie Glass …”

Questo è solo uno degli infiniti utilizzi: in sostanza tutti i contenuti disponibili sul web e molto altro (ad esempio informazioni su edifici, strutture, città, opere d’arte, persone che si hanno davanti agli occhi) saranno accessibili senza dover mettere fisicamente mano ad un device esterno. Le informazioni saranno quasi un tutt’uno con noi, come se questa piccolissima estensione, questa tecnologia indossata, ci desse la memoria di un calcolatore gigantesco.

Ma torniamo alla scuola. La conclusione facile e banale che credo ogni insegnante dovrebbe trarre è la seguente: sempre più dobbiamo insegnare ai nostri studenti a capire, analizzare, selezionare e rielaborare le informazioni. Sempre più la scuola ha il dovere impellente di insegnare ad imparare, di fornire gli strumenti del critical thinking.

La didattica trasmissiva non ha ormai più alcun significato e la lezione frontale dovrebbe essere da tempo nel dimenticatoio, perlomeno come metodica principe di insegnamento. Questo sarà ancora più vero e urgente fra pochissimo quando la realtà aumentata sarà entrata nel nostro quotidiano o più facilmente nel quotidiano dei nostri studenti.

Le informazioni e i contenuti sono già a loro disposizione, ma spesso non li sanno decifrare né selezionare, non sanno trovare da soli la soluzione ad un problema perché sono abituati ad essere ricettori passivi di teoremi e dati che un docente, un genitore o un adulto qualsiasi scodella per loro.

Insomma, lo diciamo da anni ma non è ancora avvenuto: gli studenti devono davvero divenire protagonisti attivi del processo di apprendimento.
Ma come?

Anche grazie alla tecnologia che offre validi strumenti e che rappresenta la realtà nella quale si muovono i nostri adolescenti. Quindi, benvenuti tutti i tablet, i pc, le LIM: la pratica del BYOD (Bring yor own device) dovrebbe entrare molto in fretta nelle nostre scuole, pur con tutte le criticità che comporta legate alla sicurezza, al controllo, al rischio di dispersione, alla difficoltà di gestione d’aula. Ma di fronte a queste sfide noi docenti ancora reagiamo con un rifiuto assoluto, spesso addirittura con sacro terrore: se squilla il cellulare te lo ritiro, oppure ti sospendiamo perché hai scovato la password del wifi della scuola e ti sei messo a navigare con il tuo telefono. Eppure mi pare sia veramente giunto e forse trascorso il momento di trovare soluzioni diverse e più attuali, al di là delle forti opinioni in campo educativo. E’ poco utile a mio parere dividersi e scontrarsi con accanimento sugli effetti positivi o disastrosi delle tecnologie sui nostri figli o studenti. E’ poco utile stare a chiedersi se prima della TV, della Play e dei Tablet leggessero di più, se conoscessero meglio l’ortografia e le coniugazioni dei verbi prima dell’avvento di Internet, del PC e del correttore ortografico. Tutto ciò è ormai parte delle vite degli studenti e quindi è nostro dovere conoscere e guidare i ragazzi ad un uso consapevole, critico e creativo delle tecnologie. Altrimenti le useranno comunque e i più lo faranno in modo acritico, meccanico e pericoloso. Dunque non abbiamo scelta. Non più.

Nonostante ciò non dobbiamo dimenticare l’altra reazione dei ragazzi di fronte al video dei Glass: la paura, lo sconcerto. “Prof., poi con questi occhiali indosso si è sempre collegati ad internet? Ma non si è un po’ fuori dal mondo? Mi fa un po’ impressione, forse non è così bello, si riuscirà a parlare con gli amici?”.

La paura di confondere realtà e realtà virtuale, di non saper più distinguere tra le due, la paura della solitudine, la paura di perdere il contatto con il corporeo, con il materiale.

Credo che i ragazzi con la loro solita acuta intuizione abbiano fatto centro e colto i rischi più grandi legati alla realtà aumentata e più in generale legati al nostro mondo pieno di device che facilitano la circolazione e lo scambio di informazioni e di dati ma dove spesso siamo più soli.
Quindi, di nuovo la scuola è chiamata a rispondere mettendo al centro la relazione fra studente e studente e fra discente e docente. A scuola i ragazzi dovrebbero poter imparare ad usare la tecnologia come strumento per la collaborazione tra pari, in un ambiente dove si utilizzino buone pratiche, in particolare il cooperative learning che migliora le abilità sociali e l’interdipendenza positiva.

L’insegnante dovrebbe essere sempre un modello non con le solite prediche ma nella pratica quotidiana, mostrando un atteggiamento di ascolto attivo e utilizzando una comunicazione assertiva. Dovrebbe essere un facilitatore sia per l’apprendimento sia per la creazione di relazioni significative e armoniose tra studenti e con le loro famiglie. Si dovrebbe dedicare più tempo all’ascolto reciproco e creare in aula uno spazio sicuro e accogliente in cui i ragazzi possano condividere i propri vissuti sentendosi rispettati ed accolti.

Per quanto riguarda invece l’altro aspetto, la paura di perdere il contatto con il corporeo, con il materiale, anche in questo caso ritengo che la scuola abbia un grande lavoro da compiere e molto da recuperare. Nelle nostre scuole secondarie, in Italia in particolare, si tende a mio parere a favorire e sviluppare in modo preponderante ed eccessivo le abilità intellettuali, logico-deduttive, a fronte di altri aspetti quali la creatività, il senso artistico o musicale, le abilità manuali o sportive. Per quanto possibile dunque, ad una introduzione più massiccia e critica delle tecnologie andrebbe pertanto secondo me affiancato un grosso lavoro per portare l’apprendimento su un piano anche più pratico e creativo anche nelle discipline non specificamente deputate a questi ambiti. Qui probabilmente abbiamo molto da imparare dal mondo anglosassone: parlo di un approccio hands on che permetta di far emergere le qualità e le potenzialità di un fascia un po’ negletta dei nostri alunni. Quindi dovremmo sempre permettere ai ragazzi di creare, realizzare prodotti che si possano anche toccare, non solo vedere e leggere.

Nella mia personale esperienza di docente di lettere ho potuto sperimentare i risultati incoraggianti di questo approccio misto che unisce tecnologie, manualità e creatività portate nel lavoro di gruppo sapientemente organizzato. E’ scontato che il tutto debba essere sorretto da una solida, anzi solidissima, base pedagogico-didattica. I ragazzi rispondono con passione e impegno quando hanno una cornice di lavoro chiara negli obiettivi e stimolante nelle proposte ma che permetta loro di ragionare e trovare soluzioni insieme ai compagni, trovando poi la modalità di rappresentazione delle conclusioni più consona a ciascuno. Devo dire che in più di una occasione sono rimasta stupita e in qualche caso addirittura commossa per le loro realizzazioni che hanno superato le mie aspettative.

In alcuni casi addirittura il loro entusiasmo è stato tale da contagiare e coinvolgere anche le famiglie. Mi riferisco in particolare ad un’attività sul romanzo “Hunger Games” condotta all’interno del progetto Comenius in corso quest’anno nel mio Istituto. I membri di uno stesso gruppo, per citare un esempio, hanno portato lavori di tipologie molto diverse tra loro per illustrare le loro tesi: un manufatto di cartapesta e fil di ferro che rappresentava uno dei simboli presenti nel romanzo, diverse wordart realizzate con applicazioni on line, una canzone scritta dai membri del gruppo ed interpretata dal padre musicista di uno di loro (salvata e condivisa con file su Cloud) e un prezi mostrato alla LIM. E nonostante questa varietà e l’eccellenza dei risultati, ciò che più ha colpito me e i compagni mentre le studentesse esponevano sono state la passione, la brillantezza del loro sguardo, la voglia di condividere con noi le loro creazioni.

Ecco, in sostanza tutto si riduce ad una fondamentale aspirazione: costruire una scuola che riesca ogni giorno, con ogni mezzo e modalità possibile, in digitale o in analogico, ad accendere negli occhi dei ragazzi questa scintilla.