15 ottobre. Un mese esatto dall’inizio dell’anno. In sala insegnanti vedo colleghe che scartabellano, correggono e archiviano verifiche a tutto spiano. Nodo immediato alla bocca dello stomaco: ma come, noi non abbiamo ancora fatto un solo test nel corso del primo mese di scuola! Sono indietro col programma e non ho voti! Cosa penseranno i genitori?

Mi metto ad interrogarmi e giungo ad una conclusione. Sono molte le cose che nella mia prima media non abbiamo fatto, ma ciascuna di queste è frutto di una scelta maturata e ponderata. E’ il risultato di anni di studio e di riflessione sul senso profondo del mio mestiere. E mi va bene così, perché questa è la scuola che voglio costruire insieme ai miei studenti.

Primo mese di scuola: cosa non abbiamo fatto

In particolare non abbiamo fatto:

  • I test d’ingresso: c’è chi li propina già dal secondo/terzo giorno di scuola, così si mette subito in chiaro come stanno le cose. Dividiamo la classe in chi sa e chi non sa fin dall’inizio. Da parte mia non credo alle prove d’ingresso e non le propongo: mandano un messaggio che stride con il mio modo di vedere la scuola. Pensiamo ad una prima media: i ragazzi arrivano spaventati e disorientati perché nulla è loro familiare e noi, zac, test d’ingresso. Accoglienza molto rassicurante, soprattutto per chi sa di non sapere. Che si capisca subito: l’insegnante è colui che ti giudica, che ti valuta e se ti incute un po’ di timore, meglio. Già dalla prima settimana compariranno bollini sulla fronte di ciascuno: il bravo, il medio e lo scarsone. A mio parere questo non è utile al processo di apprendimento di nessuno e sono convinta che si possano raccogliere informazioni altrettanto e forse più preziose sui nostri studenti con altre modalità. E in effetti cosa ci dicono i test d’ingresso sugli stili di apprendimento, sulle competenze e sul modo di interagire dei nostri studenti tra loro?
  • Le verifiche: ancora nessun voto, nessuna verifica, ma scherziamo? Proprio l’altro giorno pensavo che mi sarebbe tanto piaciuto poter prolungare questo momento un po’ magico in cui gli studenti sono tutti sorridenti, entusiasti, curiosi di scoprire una scuola nuova, aperti a mille futuri possibili e in cui non si sentono ancora sotto esame o peggio, bollati con un numero. Se potessi eviterei del tutto i voti. Ma non si può e allora almeno aspetto un attimo. Voglio prima conoscerli, voglio essere molto attenta, voglio che capiscano cosa e come valuto. Voglio prima aver costruito una relazione con loro, in modo che diano il giusto peso ai numeri e un peso maggiore a ciò che stiamo facendo e imparando insieme.
  • I giochi di presentazione in cui si deve parlare di sé davanti a un gruppo di sconosciuti: ho letto diversi articoli e mi sono resa conto che forse l’idea di attività di accoglienza che abbiamo è da rivedere. Forse non è proprio il massimo, specialmente per chi è timido, dover parlare di sé davanti a 46 occhi che ti scrutano e nemmeno rivelare dal primo giorno le tue paure o i tuoi desideri. Quindi, via anche questi e spazio ad altro.
  • Capitoli su capitoli dei manuali di storia e geografia: certo, avrei potuto. Parlare e spiegare un capitolo di storia o geografia in una o due ore e assegnarlo da studiare non è una sfida per me e probabilmente per nessun docente, di lettere in particolare (proverbiale la nostra logorrea). Quando ancora ero una prof. treno e la mia voce era quella che si sentiva più delle altre nelle mie classi, alla fine della lezione io stessa mi davo un voto e quando andava bene dicevo tra me: “Oggi sei stata brava, particolarmente coinvolgente”. Ma guardavo i miei studenti e dentro sentivo un leggero disagio: i loro sguardi erano per 3/4 inespressivi, persi in altri pensieri. E nelle verifiche le insufficienze fioccavano. E allora mi sono detta: rallentare. Parlare meno. Dare più strategie e meno contenuti. Far lavorare loro, farli collaborare e supportarli. Risultato: il nostro manuale di storia è ancora intonso. E non è che questo non mi faccia agitare per niente, sia chiaro! La tentazione di accelerare per poter dire che sono già ai Longobardi è forte. Ma appunto: io sarei ai Longobardi. E i miei studenti?

Beh, ma allora cosa resta da fare a scuola?

Ecco come abbiamo trascorso le nostre dieci ore settimanali insieme.

  • Ci siamo immersi nella lettura e nella scrittura, fin dal primo giorno. Ho perseguito, applicando diverse strategie, il mio primo obiettivo: creare in classe una comunità di lettori e di scrittori che potrà esprimersi nel nostro laboratorio di lettura e scrittura.
  • Per la lettura: ho letto ad alta voce ai miei studenti libri illustrati (ebbene sì, anche alle medie) proiettando le immagini alla LIM grazie ad una docucamera. E: “Prof. ne ha altri come questi? Mi sono piaciuti un sacco!”. Ho letto per intero “La magica medicina” ad alta voce e l’umorismo travolgente di Dahl ha fatto scompisciare di risate e saltare sulla sedia i miei ragazzi. Gli occhi luccicavano e le menti volavano. Ho presentato, dopo averli letti, tanti libri che potranno leggere in futuro tramite quelle che chiamiamo Book-Talk di pochi minuti. Gli studenti hanno stilato una lista intitolata: “I prossimi libri che leggerò“. E poi? Hanno toccato, sfogliato, letto libri (abbiamo una biblioteca di classe) e presentato libri ai compagni ogni giorno, anche con attività rumorose e coinvolgenti come il Book Speed Dating (Incontri lampo con i libri). Hanno iniziato a riflettere e scrivere di ciò che stanno leggendo, annotando pensieri e osservazioni sui loro taccuini del lettore. Pagine e pagine sono state riempite con la loro scrittura e pagine e pagine di libri sono state lette. Ecco in cosa siamo avanti: nel creare in classe una comunità di lettori e di scrittori.
  • Per la scrittura: principale obiettivo era far capire ai miei studenti che scrivere è un modo per esprimere se stessi, che anche a scuola si possono portare i propri vissuti e che si può scegliere. Ridare dunque un senso alla scrittura, andare oltre l’esercitazione scolastica, ma allo stesso tempo far capire che l’insegnante è un maestro di scrittura e che è in classe per aiutare i suoi studenti, fornire consigli, feedback e strategie anche individualmente e per tutto il tempo. E dunque siamo partiti con il racconto autobiografico e con tanti “attivatori” per raccogliere sul taccuino dello scrittore un sacco di semi da far germogliare nella scrittura. Gli studenti hanno scritto le loro poesie “Vengo da” dopo aver ascoltato la mia e quella della mia nipotina della loro età, hanno disegnato le loro mani prendendo spunto dalla mia, hanno scritto liste (i miei posti preferiti, le persone che mi hanno aiutato, ecc).
    La mano di un'alunna di I media

    La mano di un’alunna di I media

    E poi hanno iniziato a scrivere i loro racconti, ciascuno seguendo il proprio processo individuale e scegliendo il proprio argomento. Ed ecco emergere le loro personalità, le loro vite e la scintilla del piacere di scrivere.

  • Per lo studio: prima di iniziare ci chiediamo sempre il senso di ciò che andremo a studiare e ci confrontiamo insieme. Cosa studiano e che senso ha studiare storia o geografia? E poi ci rendiamo conto, ad esempio, di come lavorano gli storici, per prendere coscienza di ciò che sta dietro i manuali usati a scuola. Per me è fondamentale che gli studenti siano motivati e consapevoli del fatto che studiare storia non significa imparare a memoria fatti e date. Per questo inizio spesso con un laboratorio, ideato dal professor Brusa e illustrato nel dettaglio all’interno della guida per l’insegnante del manuale “Il Nuovo racconto delle grandi trasformazioni”, Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori. Si chiama “Il tesoretto di nonno Francesco“. L’insegnante si procura una quindicina di fonti storiche di diversa tipologia su un personaggio (oggetti, documenti, fotografie) e chiede ai suoi studenti di osservarle, di ricavarne informazioni, di metterle in ordine cronologico, di fare inferenze e ipotesi fino ad arrivare a redigere un racconto storiografico in cui l’alunno, facendo riferimenti alle fonti stesse, deve cercare di ricostruire la vita del personaggio. E’ un lavoro complesso, articolato, che agli studenti piace moltissimo. Si lavora per competenze con serietà ma con piacere, collaborando con i compagni, ragionando, parlando e scrivendo. E poi, più che a trasmettere contenuti, in questo primo periodo (e sempre) sono interessata a fornire strategie di analisi, sintesi e rielaborazione. Ad esempio abbiamo iniziato a lavorare sul primo approccio al testo del manuale e di ogni manuale: come si fa una lettura esplorativa, come si possono attivare le conoscenze già possedute e fare ipotesi sul contenuto del testo e come si possono creare mappe per studiare. In geografia per lavorare sull’orientamento ho usato anche il gioco: la classica battaglia navale disegnata a mano (in questo caso il digitale non era d’aiuto) per rendersi conto di cosa sia il reticolato geografico e di come fnzioni. Insomma, anche in questo caso, meno contenuti e più lavoro lento sulle competenze.
  • Per la valutazione: prima di valutare insegnare ad autovalutarsi. Questo è il primo anno in cui inserisco in modo massiccio attività di autovalutazione in classe. Prima lo facevo, ma in modo sporadico, ora invece chiedo in continuazione ai miei studenti di autovalutarsi e di riflettere su ciò che fanno e apprendono. Mi sono posta questo obiettivo anche dopo aver ascoltato in settembre un intervento di Daniele Barca (prima DS dell’innovativa scuola di Cadeo, ora a Roma) in cui illustrava i risultati di una ricerca sulle scuole migliori al mondo. Pare che uno dei criteri con maggiore influenza sui risultati sia proprio l’abitudine degli studenti all’autovalutazione. E mi sono messa d’impegno. Ho creato diverse nuove rubric in collaborazione con la mia collega “gemella” Elisa Turrini. Prima di usarle io stessa per valutare le ho mostrate ai miei studenti e ho chiesto loro di compilarle per autovalutarsi sul loro lavoro con il taccuino dello scrittore, oppure per capire come giudicare una mappa creata per studiare storia. Ho addirittura utilizzato le rubric ideate dagli stessi studenti di terza media dello scorso anno. Ad esempio questa sulle mappe. Inoltre è fondamentale condividere le aspettative e i criteri che utilizzeremo noi docenti per valutare, mostrando il processo di valutazione in diretta ai nostri studenti. Usiamo una rubric per valutare il testo di un alunno di un anno precedente, mostrando il tutto alla LIM, ad esempio, e coinvolgendo anche i ragazzi: “Voi quale voce scegliereste tra queste? In questo testo l’organizzazione del pensiero è debole oppure forte e chiara?”. E poi riflessione metacognitiva: “Come ho lavorato oggi? Cosa farò la prossima volta per migliorare?”. Ed è stupefacente come ragazzini di 11 anni siano in grado di fare osservazioni acute e di trovare soluzioni pratiche funzionali da soli. Ecco ad esempio cosa ha scritto Rebecca sul suo taccuino.
    Riflessione di Rebecca sul taccuino

    Riflessione di Rebecca sul taccuino

    Mi rendo conto che con questa modalità gli studenti prendono coscienza e si appropriano sul serio del loro apprendimento. Credo che questa sia l’unica strada per poter compiere effettivi progressi.

  • Per le relazioni e il clima d’aula: fondamentale per poter lavorare bene insieme è creare un clima positivo, di collaborazione, di ascolto, di rispetto fin dal primo giorno. La classe deve essere come un nido e non a caso questo dice un verso della prima poesia che abbiamo letto insieme (Per una scuola che assomigli al mondo  di B. Tognolini). E come costruire questo nido? Prima di tutto facendo lavorare insieme ogni giorno i ragazzi, facendoli collaborare tra loro: i banchi non sono disposti in file ma ad isole, perché anche lo spazio parla. E poi la frase presa dalla mitica maestra e cara amica Alessandra Serra: “Chiedi a tre e poi a me!”. Quindi creare l’abitudine di chiedere aiuto ai compagni e solo come ultima possibilità all’insegnante. E poi mostrando prima di tutto noi insegnanti fiducia e apertura nei confronti dei nostri studenti: mostrarci come persone, raccontarci, chiedere e dare rispetto e ascolto. Mostrare che ciascuno con i suoi vissuti e le sue abilità è accolto e rispettato, attraverso il nostro fare, il nostro atteggiamento, prima di tutto. Attraverso l’assenza di giudizio che si manifesta anche nella sospensione dei voti. Aspettiamo ad usare la penna rossa.
  • Per conoscerli e per far sì che si conoscano. Ho letto ciò che scrivono di loro stessi sui loro taccuini e nei loro racconti, li ho ascoltati parlare di sé, li ho osservati e ho raccolto osservazioni mentre lavoravano in gruppo, ho proposto questionari sulla lettura e sulla scrittura per conoscere i loro gusti di lettori e il loro approccio alla scrittura. Mi sono annotata ciò che ci siamo detti nelle consulenze individuali di scrittura. Ho scoperto tante cose importanti per aiutarli nel loro percorso individuale. Con buona pace dei test d’ingresso.
  • Per la competenza digitale: come avrete notato, non ho finora citato alcuna risorsa digitale. Perché l’integrazione delle tecnologie deve appunto essere tale: un’integrazione trasparente, non forzata. Quando servono si utilizzano e quando non sono utili se ne fa a meno. La nostra è una classe 2.0 in cui ciascuno studente ha il proprio dispositivo in contesto mixed mobile (abbiamo consegnato in comodato d’uso Chromebook e Ipad mini). Gli studenti non hanno alcuna familiarità con l’uso dei dispositivi per l’apprendimento, quindi abbiamo introdotto gradualmente l’uso della piattaforma delle Google Apps For Edu quando c’è stato bisogno di condividere materiali. E’ stato loro mostrato l’utilizzo di Drive e di Classroom dove abbiamo le nostre classi virtuali. E poi, dal momento che abbiamo introdotto le mappe, i ragazzi hanno scelto se utilizzare strumenti digitali come Mindomo e Popplet invece del quaderno. Abbiamo utilizzato più volte Classroom per condividere in modo immediato riflessioni e risultati di un lavoro, commentandoli insieme e mostrandoli alla LIM. Hanno iniziato ad usare Drive per pubblicare e revisionare i loro testi: gli studenti possono vedere i miei commenti e consigli di fianco al testo e rispondere. Ho introdotto i QR code: li abbiamo incollati sul quaderno. Rimandano a documenti condivisi, a mappe o altro per avere un facile accesso alle risorse e per evitare un consumo eccessivo di carta per le fotocopie. E soprattutto stiamo affrontando l’aspetto educativo: quando qualcuno parla, gli occhi di chi ascolta sono su di lui/lei e non sullo schermo, ad esempio. E mano a mano che si presentano, affrontiamo le questioni vivendole e interrogandoci. Perché sono convinta che non possiamo educare ad un uso sicuro del digitale, delle tecnologie solo ponendo limitazioni e divieti ma soprattutto utilizzandoli fianco a fianco con i ragazzi in modo costruttivo e creativo.

E voi? Mi raccontate cosa non avete fatto nel primo mese di scuola?